Ho, col lago di Garda, un rapporto speciale, quasi da vecchi amici,
con molte cose in comune, segreti, sudore e ricordi. Io sono nato a Montichiari
e, sul Garda, ci andavo con i miei genitori, in Lambretta. Il lago l’ho girato
completamente in kayak per ben due volte, 2012 e 2013: manifestazione sportiva
entusiasmante, bellissima compagnia di naviganti, straordinario rapporto di
amicizia nato sull’acqua con persone eccezionali, sia italiani sia stranieri. Potevo
resistere alla sfida di correre una maratona autunnale sul Garda? Mi sono
iscritto senza pensarci due volte. Avevo corso in primavera la mia prima maratona
nell’affascinante e magica Praga. Sapevo che cosa mi aspettava dunque, ma la
filosofia dell’appassionato è sempre e solo la stessa: pensare al divertimento e
al piacere di correre, cercando … di arrivare al traguardo finale. Con la mia
famiglia abbiamo approfittato della maratona sul Garda per fare una piccola
vacanza. Siamo partiti di sabato in camper, ma poiché dovevamo passare per
Montichiari (visita parenti e cimitero), abbiamo tardato e siamo arrivati a
Malcesine per ritirare il pettorale alle diciannove in punto. L’ufficio
chiudeva alle diciannove. Ho parcheggiato il camper in divieto con le frecce
accese, mi sono precipitato per i viottoli ciottolosi di Malcesine correndo,
con le scarpe nuove che avevo scelto per la maratona e mentre correvo, chiedevo
informazioni ai passanti per arrivare al municipio. Al primo piano del
municipio consegnavano i pettorali ed io ci sono arrivato alle 19,15, saltando
gli scalini a due a due e dribblando un cavalletto con scritto: “Chiuso”. Sono
riuscito ugualmente a farmi consegnare il pettorale da una ragazza che mi ha
detto: “Anch’io sono veneta”. Fortunatamente avevo parlato in dialetto senza
rendermene conto. Un segno del destino? I pettorali, a onor del vero, si
possono ritirare anche la domenica mattina ma, diciamo la verità, il “numero” e
la maglia sono come un “giocattolo” nuovo, chi può resistere?
Abbiamo poi raggiunto Torbole, con calma, godendoci il tramonto sul
lago mentre le luci di Limone iniziavano a far brillare la sponda ovest,
tremolando sulle onde. Ho parcheggiato il camper sulla riva del lago proprio a Torbole,
paese di arrivo della maratona, pochi metri distante dalla fermata della
motonave che, il giorno dopo, domenica, avrebbe portato i corridori alla
partenza di Malcesine.
Cena sul camper in riva al lago. Alle 6,40 di una domenica fredda e
uggiosa, nel buio, sono salito sulla motonave, assieme ad altre figure
silenziose in tuta da ginnastica e ho fatto amicizia con tre italiani che
raccontavano le loro esperienze nelle maratone. Eravamo tutti un po’
intorpiditi dal freddo e dal sonno. Dopo una mezzoretta di navigazione siamo
scesi a Malcesine, silenziosi come zombi, nel buio surreale di una mattina
d’ottobre umida, mentre la foschia ovattava il rumore delle onde e dissolveva
il chiarore dei lampioni.
La nostra colonna di uomini e donne in tuta da ginnastica, ha improvvisamente
animato le stradine dormienti di Malcesine, aumentando il chiacchiericcio, via
via che ci si avvicinava al municipio dove era stata collocata la partenza
della maratona.
Mi sono preparato con calma e ho consegnato il sacco con gli indumenti
di ricambio ai camion che avrebbero portato tutto all’arrivo. L’attesa è stata davvero lunga, sia per la
noia sia per il freddo. Per combattere la bassa temperatura ho indossato
l’abbigliamento tipico che si usa in questi casi: un sacco dell’immondizia.
Alcuni corridori indossavano le tute bianche usa e getta, di quelle che si utilizzano
per imbiancare. Ho osservato la folla perché è divertente e curioso vedere
quello che fanno le persone: uomini con i capelli bianchi arzilli e pronti a
partire, giovani e “calorose” ragazzotte in canotta nonostante il freddo, atleti
che facevano riscaldamento, altri che chiacchieravano come fossimo al mercato,
qualcuno scattava foto e qualcun altro faceva la coda al bagno. I pettorali
erano di tre colori perché tre erano i percorsi: Km quindici, trenta e la
maratona classica di 42,195. La partenza era indirizzata verso sud ma i
corridori dei 15 km, che sono partiti 10 minuti prima degli altri, hanno girato
quasi subito verso nord in direzione dell’arrivo a Torbole. Noi iscritti alla
maratona siamo partiti assieme alla 30 km. Sono partito col sacco
dell’immondizia addosso e aspettavo di scaldarmi percorrendo qualche chilometro
prima di togliermelo. La partenza è stata lenta a causa della ressa e della
stradina stretta. Subito in leggera salita per alcuni chilometri, ho sentito la
differenza quando finalmente abbiamo raggiunto il piano. Ho iniziato subito a
correre ma dopo alcuni chilometri mi sono accorto che stavo correndo troppo
veloce per una maratona e quindi ho adeguato la velocità in modo da seguire chi
andava più veloce di me, raccogliere le forze e approfittarne per superare alla
prima occasione. I primi 7/8 km sono scivolati via su strada asfaltata verso
sud poi, correndo sulla ciclabile in riva al lago, abbiamo girato e siamo
risaliti a nord in direzione Torbole e Riva. Il cambio di direzione mi ha fatto
trovare il vento freddo che scendeva da nord giusto in faccia. Avevo già tolto
la protezione del nailon e quindi sentivo freddo nonostante la fatica. La ciclabile
unisce le varie spiagge ghiaiose del lago, alcuni tratti sono su ghiaia battuta,
altri su selciato e altri su asfalto, con piccoli saliscendi di quando in
quando. Abbiamo anche fatto il giro di
un porticciolo salendo su un ponte e passando vicino alle abitazioni antiche
con archi e giardinetti da cartolina. Siamo poi risaliti sulla gardesana e
abbiamo iniziato a vedere la sponda di Riva, in lontananza davanti a noi, che
faceva capolino tra le curve della strada. I ristori erano piazzati ogni 5 km
circa ma io non mi fermavo, rallentavo giusto quanto mi serviva per raccogliere
al volo l’acqua e poi via. Il freddo continuava a tormentarmi ma mi ero
rassegnato. Il cielo era carico di nubi e la strada bagnata mentre il lago
scuro alla nostra sinistra era mosso da onde con schiuma bianca che si
divertivano a giocare col vento. Abbiamo raggiunto le lunghe gallerie prima di
Torbole e, al riparo dal vento, finalmente la temperatura si è alzata di
qualche grado. All’interno delle gallerie, alcuni corridori si divertivano a
lanciare urla per fare rimbombare il suono tra le pareti. Questo divertente
gioco mi ha rilassato ed ho iniziato ad accettare la maratona per quello che
sostanzialmente dovrebbe essere: un momento di sport sano, aggregazione e
divertimento puri, prova fisica e gara con me stesso. Ho quindi iniziato a
giocare a mia volta con le persone che incontravo lanciando battute e
invitandoli a seguirci. Quando il fiato me lo permetteva, conversavo con gli
altri corridori senza perdere l’occasione di superare qualcuno. Su questo
tratto di strada monotono mi è passato a destra un corridore del Sudafrica,
grande e grosso, che correva sbuffando come una vecchia locomotiva. Avevo alla
mia sinistra alcuni italiani e gli ho urlato: "Dai andiamogli dietro che
questo corre”. Mi sono buttato all’inseguimento a breve distanza e un italiano
mi ha seguito dicendo: “Posso seguirti?”. Mi sono messo a ridere e ci siamo
piazzati alle spalle della locomotiva facendo il trenino. Altri italiani hanno
provato a salire sul convoglio ma non ci sono riusciti. Poi mi sono arreso
perché il treno correva troppo, ho visto quello che mi seguiva arrendersi come
me e l’ho squadrato bene, sembrava che corressimo alla stessa velocità. Nemmeno
ci conoscessimo, è iniziato tra noi un tiramolla che, un chilometro dopo
l'altro, ci ha fatto superare Torbole e il bivio dei 30 km. Oramai mancavano 12
km ed io credevo di aver perso il mio compagno di treno, pensavo che si fosse
fermato ai trenta. Mi ero sbagliato. Alla curva di Riva mi ha fregato superandomi
all’interno. La sfida era dunque lanciata. Mi ero reso conto di essere più
veloce di lui in salita e quindi mi sono piazzato alle sue spalle aspettando
l’occasione giusta. Gli ultimi chilometri, abbiamo giocato di nuovo superandoci
su tratti rettilinei, curve, salite e discese quando finalmente, all’ultimo
chilometro, è arrivata l’occasione che aspettavo: un sottopasso con una bella
discesa e relativa salita. Sono partito consumando le ultime energie e l’ho
perso, poi ho commesso l’errore di crederci e quindi devo aver rallentato
quanto basta per farmi superare di nuovo a 100 metri dall’arrivo mentre mia
figlia mi scattava una foto. Il mio sfidante mi ha urlato: “Non arrenderti
adesso”. Non ci pensavo nemmeno e, infatti, ho volato gli ultimi metri e, saltandogli
di fianco gli ho urlato: “Assieme dai”. Così abbiamo passato la linea d’arrivo,
assieme e con le braccia alzate mentre la gente applaudiva per il gesto. Poi ci
siamo dati la mano nel momento in cui l’altoparlante diceva una cosa che subito
non ho capito: 3.46,42. Tre quarantasei e quarantadue di cosa? Bo? Sono dovuto
arrivare al ristoro e poi alle docce per rendermene conto. Un tempo incredibile
per me, semplice appassionato e senza velleità alcuna. A Praga avevo chiuso a
4,10. Il lago di Garda mi aveva di nuovo regalato una giornata straordinaria,
da ricordare e raccontare 1000 volte agli amici, fino a sfinirli. Alla
prossima, a Dio piacendo.
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