La domenica mattina si presentava fredda, pallida e uggiosa. In calendario la corsa a Zero Branco. Io avrei dovuto lavorare ma il capo mi ha chiesto di fare il sabato e ho colto l’occasione per cambiare il turno anche perché un dolore persistente alla caviglia m’impediva quasi di correre, quindi volevo testare le mie capacità per valutare se correre la maratona della domenica prossima o rinunciarvi. Ho deciso di partecipare quasi all’ultimo minuto. Mi sono presentato all’iscrizione e ho trovato una disorganizzazione scoraggiante, nessun cartello, la Polisportiva Fossaltina assente giustificata a causa di un funesto lutto, mi sono trovato da solo e, arrabbiato, ho deciso di partecipare alla corsa senza iscrivermi. Sono partito in anticipo zoppicando per il dolore al tendine d’Achille. Ho camminato e provato a correre per alcuni chilometri fino al bivio dei 12-21 km. Al bivio mi sono fermato totalmente indeciso sul da farsi, mi sono messo a chiacchierare un po’ col volontario che stava di guardia dell’incrocio e poi mi sono incamminato zoppicando verso il traguardo dei 21 km. Mentre camminavo e provavo a correre tre ragazzetti di undici anni, mi hanno sorpassato e poi si sono fermati col fiatone. Mentre provavo a correre, li ho osservati e mi sono accorto che correvano troppo forte, finivano il fiato e poi si fermavano a respirare con affanno. Guardandoli si capiva che erano amici o compagni di classe e che, per sfida o per gioco, si erano iscritti con la classe delle medie e stavano provando a fare i ventuno da soli, mentre il resto della classe faceva i dodici. Ho iniziato a correre alla loro velocità e ho spiegato loro che se volevano arrivare alla fine dovevano rallentare, misurare le forze e cercare di correre a una velocità costante. Mi hanno ascoltato e così è iniziata la straordinaria avventura che ci ha portato tutti e quattro al traguardo. Loro davanti ed io dietro, li tenevo lenti e cercavo di portarli avanti con costanza. Abbiamo iniziato a macinare i chilometri mentre tutti ci sorpassavano. I ragazzetti si lasciavano trascinare dall’entusiasmo e aumentavano ogni volta che qualche corridore ci sorpassava, mentre io ogni volta li richiamavo e li rallentavo. Mi è dispiaciuto nel vedere che, di tutti i corridori che ci hanno superato, nessuno ha pensato di rallentare e aggregarsi a noi per accompagnare questi ragazzini fino al traguardo. Qualcuno gli faceva i complimenti nel superarli e poi mi chiedeva: “Sono tuoi?”. Io rispondevo: “No, li ho raccolti per strada”. La campagna era coperta di rugiada e nelle pozzanghere si vedeva qualche pezzo di ghiaccio. Il pallido sole invernale ha iniziato a scaldare la giornata mentre noi percorrevamo sterrati e strade asfaltate fermandoci solo ai ristori dove i ragazzetti si fiondavano con avidità e serviva tutta la mia forza di persuasione per farli ripartire. Non avevano un abbigliamento ideale per correre, ma avevano in bella mostra il tagliando
dell’iscrizione e continuavano a dimostrare una volontà di ferro, per cui siamo andati avanti. Altre strade, altra campagna e un altro ristoro, mentre i chilometri da fare diminuivano lentamente. L’entusiasmo mi ha fatto passare il dolore al tendine e mi sono reso conto che sarei potuto arrivare alla fine dei ventuno alla stessa velocità dei ragazzetti, senza strappi e senza accelerazioni pericolose. Arrivando alla fine ho iniziato a preparare i ragazzetti per l’arrivo. Gli ho detto che sicuramente erano gli unici della loro categoria e che quindi avrebbero potuto meritarsi un premio, ma era importante che arrivassero al traguardo assieme. Passando la linea d’arrivo assieme il premio sarebbe andato ugualmente a tutti e tre e se lo meritavano visto l’impegno che ci stavano mettendo. All’ultimo chilometro li ho fatti camminare un po’ perché non riuscivano più a correre, ma, appena hanno capito, di essere vicino alla piazza di arrivo si sono rimessi a correre da soli, senza che li spronassi. Siamo arrivati alla fine dopo due ore e quindici minuti di corsa lenta ma costante. Purtroppo, la mia delusione è stata grande quando mi sono accorto che le premiazioni erano già concluse. Mi sono arrabbiato. Sono andato dal signore che aveva il microfono e gli ho detto che tre ragazzetti di undici anni avevano fatto tutti i ventuno di corsa ma che erano arrivati solo ora. Il signore col microfono mi ha chiesto: “Sono di Zero Branco?”. Gli ho risposto di sì e che meritavano un piccolo riconoscimento. Poi il mio caratteraccio ha avuto il sopravvento e me ne sono andato. Fortunatamente, mentre lasciavo la piazza, ho incrociato uno dei ragazzetti e gli ho chiesto: “Siete andati sul podio?". Mi ha risposto di sì e che al microfono avevano parlato di loro. La giornata si è finita così. Una grande emozione, la soddisfazione di avere fatto una
cosa giusta, la delusione perché nessun genitore all’arrivo aspettava questi ragazzetti e la speranza che questi giovanissimi si appassionino alla corsa.
Il piede non mi faceva più male.
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