Domenica 16
novembre 2014. Piazza San Carlo. Torino. Mattinata soleggiata.
Tre mesi di
allenamenti emozionanti ed intensi stanno per sublimare in una corsa lunga poco
più di 42 km.
Preambolo: arrivo
con un certo anticipo a Torino. Già venerdì pomeriggio, io ed Erika passeggiamo
in centro.
La città è
splendida: strade e lunghi viali dalla geometria inesorabile, piazze, palazzi,
negozi, monumenti dal fascino magnetico. Memorie di epoche fondamentali per la
nostra storia di italiani.
Mi sto
divertendo molto. Il soggiorno è magico: lunghe camminate in città con visita
al museo del cinema e al museo della sindone nella giornata di sabato, sotto
pioggia battente.
Penso a
tutto fuorché alla maratona e non capisco se si tratti di un bene o di un male.
Mi trascino un forte raffreddore con mal di gola da ormai 5 gg e m’interrogo
addirittura sull’opportunità di partire all’indomani.
Sabato
trascorre senza la solita tradizionale rifinitura (20’ leggeri + allunghi): non
ho voglia di correre sotto la pioggia.
Vado a
letto, confidando nel meteo favorevole.
Domenica
mattina mi sveglio, sbrigo le formalità di rito ed esco senza mai guardare
fuori dalle finestre per godere al massimo dell’eventuale sorpresa legata alla
presenza del sole … e luce fu!!!!!
Imbastisco
un breve riscaldamento vicino all’appartamento, rientro, mi cambio, prendo un
caffè, saluto Erika, dandole appuntamento all’arrivo alle 12.29.
Torniamo ora
agli attimi immediatamente precedenti la partenza.
Sono pollo
in batteria a ridosso dei top runners.
Qui le
gabbie hanno semplicemente la funzione di indicare agli atleti dove
posizionarsi a seconda del tempo che vorranno realizzare. L'organizzazione
confida nel buon senso dei partenti ma in Italia il buon senso è merce rara e
mi ritrovo a fianco di due signore sulla sessantina, visibilmente sovrappeso.
Proditoriamente
viene dato il via ufficiale senza alcun preavviso mentre armeggio con l’mp3.
Partenza
veloce in leggera discesa, a fare slalom per 500 metri, con il lettorino mp3 in
mano.
Poi, la
situazione si fa meno caotica e riesco a mettermi tranquillo. Supero e mi
superano. Soprattutto mi superano. In tanti. Il livello è molto alto.
Dopo un paio
di km realizzo nell’ordine:
- - che oggi ho voglia di correre
- - che il raffreddore non m’infastidisce più di tanto
- - che non posso chiudere ai miei ritmi migliori
- - che voglio a tutti i costi chiudere in 2h59’, con belle sensazioni e godendomi il percorso
- - che non faticherò a trovare compagnia lungo il percorso
- - che il percorso è veloce
- - che sto correndo storto ma a ritmi accettabili e senza fare troppa fatica
In testa
elaboro la tattica: in spinta fino al quindicesimo km. Quindi, dal sedicesimo
alla mezza, rallentamento controllato. Poi, fino al trentesimo, ulteriore
leggero rallentamento. Dal trentesimo alla fine, gestione del vantaggio sulla
tabella di marcia, gustandomi percorso, pubblico, atmosfera e saluto di Erika
all’arrivo.
Sono in
corsa. Km quattro ed in mezzo ad una bolgia di seimila partenti, mi ritrovo a
correre al fianco di Danilo, conosciuto in coda ai gabinetti del museo del
cinema il giorno prima!! Piccolo il mondo!
Conversando
amabilmente, dopo aver corso con il Po alla nostra destra, superiamo
nell’ordine Moncalieri e Nichelino, abbracciati da due ali di folla che mai mi
sarei aspettato. Sono talmente coinvolto che zigzago a destra e sinistra per
scambiare il cinque coi bimbi impavidi che allungano la manina. Così facendo mi
rendo conto di allungare la strada ma non me ne cala molto.
Sto correndo
e mi sto divertendo: questo è ciò che conta!
Al
diciottesimo km, in leggera salita, lambiamo la palazzina di caccia di
Stupinigi (credo di averla riconosciuta come tale) e da quel punto saluto
Danilo che cerca di chiudere in 2h48’. Inserisco il pilota automatico. Il ritmo
si alza leggermente. Raggiungo la mezza in 1h24’, quasi 1h25’. Rallento
ulteriormente ed insisto a fare del cabaret con la gente a bordo strada.
Davvero tanta!!
Al
venticinquesimo km, mi raggiunge il vergineo trentin che in progressione
raggiungerà Piazza Castello in 2h52’. Mi spinge a stare con lui ma non ho
alcuna intenzione di spremermi, rischiando di far saltare il piano perfetto.
Poco prima
del trentesimo km inizia un’impercettibile ascesa che alza le medie di
percorrenza. L’avevo letto nei blog e non mi faccio prendere dallo sconforto. Dovremmo
tornare in piano al km trentatre.
Passo al km
trenta e non guardo neanche l’orologio. So bene che ho ancora un bel vantaggio
sulla proiezione finale di 2h59’.
Inizio a
ragionare, concentrandomi sui singoli ristori, ben consapevole di essere
entrato nella parte più difficile della maratona. Sono davvero curioso di
esplorare me stesso e le reazioni di testa e fisico.
Inizio a
sentire la stanchezza e non appoggio bene. In realtà, sono partito senza
correre bene e l’assetto peggiora di km in km. Sono i miei punti deboli, il
bacino fuori asse e l’appoggio fallace del piede destro. Quel maledetto piede
piatto..
Sono al Km
trentatre, come gli anni di quel Qualcuno, la cui sindone, è conservata in una
cappella del Duomo della città, il cui centro sto per raggiungere.
Organicamente
sto da Dio (tanto per restare sull’argomento). Sono in controllo ad un ritmo
prossimo al mio fondo lento. Vengo soprattutto rimontato ma non me ne curo.
Accendo la musica del mio mp3.
La strada mi
pare persino in leggera discesa. Ad un certo punto, mi chiedo se sia il caso di
provarci. Mi chiedo se sia il caso di spingere. L’interrogativo m’assale al km
trentasei. Probabilmente, con un po’ di coraggio, potrei limare un minuto.
Km trentasei
e mezzo ed il cervello elabora la risposta: stattene buono. Continua a godere.
Affermativo:
mi sto divertendo. Sono in una condizione invidiabile. Ne avrei ma gestisco.
Anche questa
è una piccola vittoria per me: imparare a gestire ritmo ed emotività.
Ancor più
galvanizzato, percorro i lunghi viali torinesi, alla ricerca di manine da
sfiorare in gesto di saluto. Rispondo agli incitamenti. Sono nel flusso, sicuro
di stare sotto alle tre ore.
Km quaranta.
Le gambe sono rigide. L’andatura storta. La testa presente. Le forze anche. Sono
io che sorpasso zombie già da qualche minuto.
Km
quarantuno. Tolgo gli auricolari perché voglio essere certo di sentire e vedere
Erika. Ormai i crampi ai polpacci non m’assaliranno più. Rompo gli indugi ed
accelero.
C’è
tantissima gente lungo il rettilineo finale, da una parte e dall’altra.
Finalmente scorgo Erika che si sporge dalle transenne per salutarmi.
Entusiasta, contraccambio piuttosto teatralmente ed accelero ancora.
Ultimi
duecento metri a braccia alzate, sorridente.
Sono
arrivato davanti a Palazzo reale in 2h56’25”: penso a tutto e a niente allo
stesso tempo.
Ritrovo
Danilo che ha chiuso due minuti prima, in sofferenza. Ritrovo Trentin che ha chiuso
la fatica correndo due mezze in fotocopia (1h26’+1h26’) alla sua veneranda età.
Soprattutto ritrovo Erika che mi passa indumenti asciutti e mi abbraccia.
Al di là di
ogni retorica, ammesso che una semplice corsa meriti una dedica, voglio
indirizzarla agli Oll Scars: non c’è bisogno che scriva perché.
Infine, visto
che questo scritto verrà letto anche dai diretti interessati, dovuti
ringraziamenti, per differenti motivi, ad Alessandro Marin e ad Erika&Tobia.
Per
incorniciare l’intera esperienza, adeguata ed immancabile colonna sonora: http://www.youtube.com/watch?v=5j4l_NdkYMQ
Un grossissimo applauso al nostro Top Runner!!! Bravo coach!!!
RispondiElimina