lunedì 1 gennaio 2007

Vedo Rosso alla Turin Marathon, di Fabrizio Rosso

Domenica 16 novembre 2014. Piazza San Carlo. Torino. Mattinata soleggiata.
Tre mesi di allenamenti emozionanti ed intensi stanno per sublimare in una corsa lunga poco più di 42 km.
Preambolo: arrivo con un certo anticipo a Torino. Già venerdì pomeriggio, io ed Erika passeggiamo in centro.
La città è splendida: strade e lunghi viali dalla geometria inesorabile, piazze, palazzi, negozi, monumenti dal fascino magnetico. Memorie di epoche fondamentali per la nostra storia di italiani.
Mi sto divertendo molto. Il soggiorno è magico: lunghe camminate in città con visita al museo del cinema e al museo della sindone nella giornata di sabato, sotto pioggia battente.
Penso a tutto fuorché alla maratona e non capisco se si tratti di un bene o di un male. Mi trascino un forte raffreddore con mal di gola da ormai 5 gg e m’interrogo addirittura sull’opportunità di partire all’indomani.
Sabato trascorre senza la solita tradizionale rifinitura (20’ leggeri + allunghi): non ho voglia di correre sotto la pioggia. 
Vado a letto, confidando nel meteo favorevole.
Domenica mattina mi sveglio, sbrigo le formalità di rito ed esco senza mai guardare fuori dalle finestre per godere al massimo dell’eventuale sorpresa legata alla presenza del sole … e luce fu!!!!!
Imbastisco un breve riscaldamento vicino all’appartamento, rientro, mi cambio, prendo un caffè, saluto Erika, dandole appuntamento all’arrivo alle 12.29.
Torniamo ora agli attimi immediatamente precedenti la partenza.
Sono pollo in batteria a ridosso dei top runners.
Qui le gabbie hanno semplicemente la funzione di indicare agli atleti dove posizionarsi a seconda del tempo che vorranno realizzare. L'organizzazione confida nel buon senso dei partenti ma in Italia il buon senso è merce rara e mi ritrovo a fianco di due signore sulla sessantina, visibilmente sovrappeso.
Proditoriamente viene dato il via ufficiale senza alcun preavviso mentre armeggio con l’mp3.
Partenza veloce in leggera discesa, a fare slalom per 500 metri, con il lettorino mp3 in mano.
Poi, la situazione si fa meno caotica e riesco a mettermi tranquillo. Supero e mi superano. Soprattutto mi superano. In tanti. Il livello è molto alto.
Dopo un paio di km realizzo nell’ordine:
  • -          che oggi ho voglia di correre
  • -          che il raffreddore non m’infastidisce più di tanto
  • -          che non posso chiudere ai miei ritmi migliori
  • -          che voglio a tutti i costi chiudere in 2h59’, con belle sensazioni e godendomi il percorso
  • -          che non faticherò a trovare compagnia lungo il percorso
  • -          che il percorso è veloce
  • -          che sto correndo storto ma a ritmi accettabili e senza fare troppa fatica

In testa elaboro la tattica: in spinta fino al quindicesimo km. Quindi, dal sedicesimo alla mezza, rallentamento controllato. Poi, fino al trentesimo, ulteriore leggero rallentamento. Dal trentesimo alla fine, gestione del vantaggio sulla tabella di marcia, gustandomi percorso, pubblico, atmosfera e saluto di Erika all’arrivo.
Sono in corsa. Km quattro ed in mezzo ad una bolgia di seimila partenti, mi ritrovo a correre al fianco di Danilo, conosciuto in coda ai gabinetti del museo del cinema il giorno prima!! Piccolo il mondo!
Conversando amabilmente, dopo aver corso con il Po alla nostra destra, superiamo nell’ordine Moncalieri e Nichelino, abbracciati da due ali di folla che mai mi sarei aspettato. Sono talmente coinvolto che zigzago a destra e sinistra per scambiare il cinque coi bimbi impavidi che allungano la manina. Così facendo mi rendo conto di allungare la strada ma non me ne cala molto.
Sto correndo e mi sto divertendo: questo è ciò che conta!
Al diciottesimo km, in leggera salita, lambiamo la palazzina di caccia di Stupinigi (credo di averla riconosciuta come tale) e da quel punto saluto Danilo che cerca di chiudere in 2h48’. Inserisco il pilota automatico. Il ritmo si alza leggermente. Raggiungo la mezza in 1h24’, quasi 1h25’. Rallento ulteriormente ed insisto a fare del cabaret con la gente a bordo strada. Davvero tanta!!
Al venticinquesimo km, mi raggiunge il vergineo trentin che in progressione raggiungerà Piazza Castello in 2h52’. Mi spinge a stare con lui ma non ho alcuna intenzione di spremermi, rischiando di far saltare il piano perfetto.
Poco prima del trentesimo km inizia un’impercettibile ascesa che alza le medie di percorrenza. L’avevo letto nei blog e non mi faccio prendere dallo sconforto. Dovremmo tornare in piano al km trentatre.
Passo al km trenta e non guardo neanche l’orologio. So bene che ho ancora un bel vantaggio sulla proiezione finale di 2h59’.
Inizio a ragionare, concentrandomi sui singoli ristori, ben consapevole di essere entrato nella parte più difficile della maratona. Sono davvero curioso di esplorare me stesso e le reazioni di testa e fisico.
Inizio a sentire la stanchezza e non appoggio bene. In realtà, sono partito senza correre bene e l’assetto peggiora di km in km. Sono i miei punti deboli, il bacino fuori asse e l’appoggio fallace del piede destro. Quel maledetto piede piatto..
Sono al Km trentatre, come gli anni di quel Qualcuno, la cui sindone, è conservata in una cappella del Duomo della città, il cui centro sto per raggiungere.
Organicamente sto da Dio (tanto per restare sull’argomento). Sono in controllo ad un ritmo prossimo al mio fondo lento. Vengo soprattutto rimontato ma non me ne curo. Accendo la musica del mio mp3.
La strada mi pare persino in leggera discesa. Ad un certo punto, mi chiedo se sia il caso di provarci. Mi chiedo se sia il caso di spingere. L’interrogativo m’assale al km trentasei. Probabilmente, con un po’ di coraggio, potrei limare un minuto.
Km trentasei e mezzo ed il cervello elabora la risposta: stattene buono. Continua a godere.
Affermativo: mi sto divertendo. Sono in una condizione invidiabile. Ne avrei ma gestisco.
Anche questa è una piccola vittoria per me: imparare a gestire ritmo ed emotività.
Ancor più galvanizzato, percorro i lunghi viali torinesi, alla ricerca di manine da sfiorare in gesto di saluto. Rispondo agli incitamenti. Sono nel flusso, sicuro di stare sotto alle tre ore.
Km quaranta. Le gambe sono rigide. L’andatura storta. La testa presente. Le forze anche. Sono io che sorpasso zombie già da qualche minuto.
Km quarantuno. Tolgo gli auricolari perché voglio essere certo di sentire e vedere Erika. Ormai i crampi ai polpacci non m’assaliranno più. Rompo gli indugi ed accelero.
C’è tantissima gente lungo il rettilineo finale, da una parte e dall’altra. Finalmente scorgo Erika che si sporge dalle transenne per salutarmi. Entusiasta, contraccambio piuttosto teatralmente ed accelero ancora.
Ultimi duecento metri a braccia alzate, sorridente.
Sono arrivato davanti a Palazzo reale in 2h56’25”: penso a tutto e a niente allo stesso tempo.
Ritrovo Danilo che ha chiuso due minuti prima, in sofferenza. Ritrovo Trentin che ha chiuso la fatica correndo due mezze in fotocopia (1h26’+1h26’) alla sua veneranda età. Soprattutto ritrovo Erika che mi passa indumenti asciutti e mi abbraccia.
Al di là di ogni retorica, ammesso che una semplice corsa meriti una dedica, voglio indirizzarla agli Oll Scars: non c’è bisogno che scriva perché.                    
Infine, visto che questo scritto verrà letto anche dai diretti interessati, dovuti ringraziamenti, per differenti motivi, ad Alessandro Marin e ad Erika&Tobia.

Per incorniciare l’intera esperienza, adeguata ed immancabile colonna sonora: http://www.youtube.com/watch?v=5j4l_NdkYMQ


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